L’amico
immaginifico
di Sergio Staino
Mi
diverte pensare di aver conosciuto Gualtiero in uno di quei
club inglesi dove, in piena età vittoriana, si discuteva
sulla possibilità di effettuare il giro del mondo
in ottanta giorni e austeri smemorati colonnelli raccontavano
le loro giovanili imprese, confondendo, nel ricordo, donne
e tigri reali. Sicuramente l’umorismo e la satira
di Gualtiero vengono da lì e insieme al suo sguardo,
sornione in apparenza, ma in realtà appassionato
ed affettuoso, me lo hanno fatto assomigliare fin dall’inizio
più ad un collaboratore del Punch che a un collega
dei vocianti de-regolati disegnatori del Male. Tutta la
sua produzione satirica si muove su un filo raffinato ed
elegante, il doppio senso mai volgare e l’illustrazione
antica ripresa, smontata e riproposta con ritmi lenti, quasi
per veri e grandi gourmet del sorriso.
Quando, qualche anno fa, in pieno regime politico ed estetico
Berlusconiano, realizzai per L’Unità alcune
prove di una possibile rivista satirica, intitolata La Domenica
del Cavaliere, uno dei primi collaboratori a cui pensai
fu proprio lui. L’intuizione di partenza era affidata
alla straordinaria vicinanza tra l’immaginario retorico
umbertino e i continui annunci di conquiste e vittorie del
Cavaliere. Lo stesso titolo di Cavaliere, ostentato fin
quasi alla caricatura, ci riportava al sogno di un riconoscimento
sabaudo di una borghesia arricchitasi all’ombra dello
Stato, in tempi troppo brevi ed in quantità davvero
eccessive. Lo stanco liberty italiano sembrava fatto apposta
per sottolineare l’arrivo, sulla scena politica, di
una pletora di affaristi, scribacchini, tuttofare, legulei
e professionisti vari, zeppi di antiche frustrazioni e livori.
Ma questa stessa grafica funzionava bene anche per sottolineare
l’immaturità politica dell’opposizione,
il rinchiudersi della sinistra all’interno di un gioco,
le cui regole sembravano fissate più dall’Unto
del Signore che dagli effettivi bisogni dell’Italia.
La
prima cosa che pubblicai di lui su questo foglio fu proprio
quel santino di Prodi che vedete riprodotto nella pagina
a fianco. Era un vero santino che lui aveva progettato e
fatto stampare a perfetta somiglianza di quelli autentici,
che devoti e religiosi distribuiscono nelle loro peregrina
La prima cosa che pubblicai di lui su questo foglio fu proprio
quel santino di Prodi che vedete riprodotto nell'immagine
a fianco. Era un vero santino che lui aveva progettato e
fatto stampare a perfetta somiglianza di quelli autentici,
che devoti e religiosi distribuiscono nelle loro peregrina
zioni: l’immagine da un lato e sul retro la preghiera,
con il conseguente conteggio dei giorni d’indulgenza
guadagnati leggendola. La cosa mi aveva fatto morire dal
ridere, sia per l’idea in sé, sia per l’accurata
realizzazione. La testa del gioviale e giocondo Romano risultava
particolarmente adatta al corpo dell’ignaro Santo
prestatore, facendo sembrare il tutto, ad un primo sguardo,
inquietantemente originale. Ma cosa eravamo noi della sinistra,
già in quei giorni ora lontani, se non degli sperduti
fedeli in cerca di un qualche impossibile miracolo? Ecco
l’attualità calzante del santino e la perfetta
manipolazione dell’antica immagine, arte in cui, insieme
a Massimo Bucchi, Gualtiero ha sempre primeggiato. La collaborazione
partì alla grande e le invenzioni di Gualtiero si
amalgamarono molto bene con tutto il progetto: le tavole
di Achille Beltrami, le tante rielaborazioni di vecchie
pubblicità.
Quando poi nel 2007 sono partito con il progetto di Emme,
il supplemento satirico dell’Unità del lunedì,
l’idea editoriale che stava alla base de La Domenica
del Cavaliere era profondamente cambiata. La nascita di
Emme era direttamente finalizzata ad aiutare un gruppo di
giovani autori satirici a realizzare e prendere nelle loro
mani un futuro settimanale satirico, colmando così
un’inquietante lacuna del nostro panorama editoriale.
Sotto la mia direzione, la redazione veniva affidata a tre
giovani palermitani, ideatori di un mensile satirico che
mi era piaciuto molto, Il Pizzino. Proprio per questa presenza
giovanile e per la dichiarata volontà di portare
il giornale sulle barricate della lotta politica quotidiana,
ebbi subito la sensazione che la poetica di Gualtiero potesse
risultare, agli occhi di questi giovani, troppo antica e
poco comprensibile.
Gualtiero
proponeva le storie del Cavalier Balena che, proprio per
il loro ritmo slow, da caffè letterario, richiedevano
per esprimersi completamente non meno di una pagina a numero.
Una pagina necessariamente surreale, rarefatta, collegata
alla realtà da fili quasi impercettibili, allusivi
ed ambigui. Tutto spazio, pensavo, che i giovani considereranno
“rubato” ad una satira più immediata
e diretta contro il Palazzo e i suoi personaggi, nominati
uno per uno. Ero quindi sicuro che questa sua idea avrebbe
incontrato molte difficoltà ma, siccome a me piaceva
molto, la proposi ugualmente. Con mia grossa sorpresa le
cose andarono diversamente e le storie di Balena, alle prese
con la costruzione di tanti improbabili Partiti Democratici
piacquero subito anche ai collaboratori giovani.
La verità è che l’opera di Gualtiero,
come sempre accade con le opere degli artisti, coglieva
dal presente quegli elementi meno visibili ma che sarebbero
stati ben presto le caratteristiche portanti delle situazioni
politiche future. I miei collaboratori non coglievano forse
le raffinate allusioni alle riviste francesi fin de siecle,
o ai fogli propagandistici del fascismo, o ai manuali del
perfetto pioniere comunista (tutte cose che non potevano
conoscere), ma in compenso coglievano l’essenza profonda
di quelle elaborazioni. E cos’era infatti questa nostra
sinistra, costretta a cambiar d’abito e di nome ad
ogni congresso, con un ritmo sempre più frenetico,
se non la pedissequa copia di un partito già inventato
da tempo da Gualtiero, il Partito Provvisorio
Italiano? Rifletteteci un attimo: se qualcuno dei nostri
massimi dirigenti avesse colto la profondità filosofica
nascosta in questa sottile ironia, chissà quante
cavolate si sarebbero potuti risparmiare. E oggi? Oggi che
parliamo di PD, di PDL, di Nuova Sinistra, ecc., e purtroppo
li vediamo traversati tutti da lotte intestine e, in molti
casi, dall’abbandono di valori ed ideali in nome della
difesa della singola poltrona, affannati a costituir lobby
e caminetti, per garantirsi almeno una pensione da parlamentare...
Cos’è tutto questo, se non l’insieme
di partiti inventati da Gualtiero e chiamati I.I.P., Italian
Individual Party? “Yes we can” e “Pd Summer
School” ovviamente compresi.
E’ questo carpire nell’aria le atmosfere nascoste
del tempo che verrà, che fa grande l’opera
di Gualtiero Schiaffino, legandola alla poetica e alle inquietudini
delle nuove generazioni. La riprova di ciò sta proprio
nell’intensa collaborazione che si instaurò,
dall’agosto al dicembre del 2007, fra lui e i giovani
redattori di Emme. Per questo, al momento della sua scomparsa,
tutti noi autori (vecchi, giovani o così-così)
abbiamo avuto la profonda sensazione della perdita non solo
di un pezzo importante del giornale, ma soprattutto di un’intelligenza
lucidamente critica e laica, che tanto ancora poteva aiutare
ad orientaci in questa confusa nazione che, stranamente
e caparbiamente, continuiamo a chiamare Italia. Meglio sarebbe
chiamarla, come ci suggerisce ancora una volta Gualtiero,
“Forse Italia”.