Edizione 2012

>> Oggetti Smarriti

>> Spaesamenti

 

OGGETTI SMARRITI & OGGETTIVI SMARRIMENTI
Camogli, 7 luglio - 26 agosto 2012
Fondazione Remotti, via Castagneto 52; apertura: sab/dom – 15/19

Una combinazione inedita di alcune mostre personali per esplorare, in un fecondo gioco di contaminazioni tra i diversi linguaggi dell’arte, le meraviglie delle cose perdute e dimentica te, degli oggetti “smarriti” perché resi invisibili dall’abitudine e “ritrovati” con nuove funzioni e significati attraverso ironiche e spiazzanti interpretazioni d’artista. Il nucleo espositivo più legato all'arte contemporanea, tra Fluxus e la Patafisica, è affidato alla prima ampia antologica di opere del versiliano Carlo Battisti, artefice di ingegnose e sorprendenti installazioni che si compiono pienamente con l’interazione attiva del pubblico. Non macchine celibi, né esattamente inutili, ma fantastiche e poetiche, che forniscono l’occasione per un tributo a due grandi protagonisti dell’arte del Novecento come Man Ray (Cadeau, 1921) e Bruno Munari (Macchina inutile Max Bill, 1933). In questa singolare Wunderkammer si rinnova anche il consueto omaggio a Gualtiero Schiaffino, del quale sono esposti alcuni reperti impossibili e plausibili come la Certificata orma del selvaggio Venerdì e i canestri in fibre vegetali intrecciati uno dentro l’altro dal titolo In-cesti, oltre a una serie di icastici aforismi abbinati alle fotografie scattate in vari angoli di Camogli da Patrizia Traverso, che da anni fonda la sua ricerca artistica nella fusione perfetta di foto e parole.



>> Gualtiero Schiaffino - Forgiare l’impossibile plausibile

Il gioco a rimpiattino dietro a identità multiple e divergenti - inverosimili se non impossibili ma sempre plausibili - indossate per sé o ancor meglio create per altri o per ‘altro’ è stata una delle costanti dei divertissement e delle opere di Gualtiero Schiaffino. Non solo nel lavoro creativo professionale e nell’opera maggiore ma anche nelle opere creative minori e quotidiane, quelle ‘gratuite’, quelle inter amicos. Quasi un sottotraccia divertito, a fianco dei più impegnativi - anche quando leggeri e divertitissimi - lavori di autore satirico e professionista della comunicazione. Un’arte dello spaesamento praticata con il gusto del dono e della condivisione dello stupore oltreché dello scherzo complice. Tre opere esposte testimoniano proprio questo côté dell’autore di Camogli: i finti libri per i colleghi assessori della Provincia di Genova (1997-2001), l’Orma del selvaggio Venerdì (2004), i canestri vegetali della serie In-cesti (2004-2007). Tre azioni creative realizzate per essere donate.

 

GUALTIERO SCHIAFFINO, Orma del selvaggio Venerdì, corredata di Certificato di Autenticità, 2004

 

 

>> Carlo Battisti – Est modus in rebus

Est modus in rebus: isolando le parole dal contesto originale, accanto all’ideale classico del giusto mezzo quale concisa esortazione alla moderazione, nell’usura del parlare comune lungo i secoli si è passati a recepire la citazione anche come “le cose stesse sanno come devono essere intese”. Dove le cose in sé sembrano quasi acquistare un’anima propria, trasformandosi per sorprendente miracolo da oggetti bruti in soggetti vivi. È anche in questa accezione che il motto dell’antico poeta torna alla memoria davanti alle opere di Carlo Battisti. (...) In realtà, al di là dell’abilità tecnica rigorosamente certosina e dell’anarchica inventiva concettuale neodada (ma declinata con una ironia tutta patafisica - e non a caso al Nostro bisognerebbe rivolgersi come Sua Sommità!), l’artefice Battisti utilizza la parola come puro strumento poetico per sottolineare il suo fare linguisticamente contaminante e il suo percepire (con i sensi e con la mente) i rebus della realtà con sottile animismo panteista.

 


CARLO BATTISTI, L’orecchio di Demetra, ready made, imbuto con auricolare, zinco, ferro, feltro, tappeto erboso, 2000, cm 100x260
Per ascoltare il suono dell’erba che cresce: “appoggiare con cura la testa sul bordo di feltro presente all’estremità ad imbuto del captatore acustico facendo in modo che un’orecchia ne sia contenuta; con una mano a coppa comprimere l’altra orecchia; chiudere gli occhi e concentrandosi sull’azione, lenta ma costante, dell’erba che sta crescendo, attendere di percepirne il suono”.

 


CARLO BATTISTI, Pour les jumeaux, scultura, ottone forgiato, 1994, cm 15x27

 

 

>> Man Ray e Bruno Munari - Meccaniche parallele

Le macchine, un vero mistero. Finché non ne conosci i meccanismi che le governano, ti sembrano pura magia. (...) Ma se il rapporto con la macchina è spesso impregnato di sorpresa, ovvero ci provoca una scarica elettrica nel cervello, ciò comporta anche piacere; e quel lampo di energia che scocca nel fatale incontro tra essa e noi ci sfida e ci appaga, come in un gioco. Tornati per un istante bambini, per quell’istante giochiamo - e capiamo che con le macchine giocare ci piace: a farle funzionare, a smontarle per capire come funzionano, a rimontarle e a chiederci perché ora non funzionano più, a ripararle, a inventarne di nuove. Utili; e magari pure inutili. Ecco, nella gratuità dell’atto ludico sta comoda anche la gratuità del gesto estetico; e neppure stona la gratuità del senso finale etico. Fare per fare, fare per giocare, giocare per giocare, giocare per fare. Molti artisti, nei loro rispettivi campi, lo hanno sempre saputo, lo hanno spesso praticato. Giocare con le macchine (che non è come giocare con le macchinine) è un’azione complessa, che coinvolge e titilla sanamente più aree dell’encefalo. È uno sposalizio del cervello destro con quello sinistro, ovvero della matematica con la poesia, del prevedibile con l’imprevisto, del serio col faceto. È un’arte speciale, un’arte anche questa.

 


MAN RAY, Cadeau, 1921-1974, ferro da stiro con chiodi, cm 17x10x10,5 (Courtesy Fondazione Remotti)
Il ferro da stiro sul cui fondo l’artista americano nel 1921, appena giunto a Parigi ed entrato in contatto con i Dadaisti, saldò una riga di chiodi rendendolo inutilizzabile per la sua funzione naturale e addirittura rovesciandone il senso - da oggetto che liscia e rinnova a oggetto che strappa e distrugge.

 

 


BRUNO MUNARI, Macchina inutile Max Bill, 1933-1993, cartoncino colorato a tempera, legno e filo, cm 80x40 (Courtesy Edizione Corraini)
Le macchine inutili, spiega l’artista, “non sono altro che oggetti mobili colorati, appositamente studiati per ottenere quella determinata varietà di accostamenti, di movimenti, di forme e di colori. Oggetti da guardare come si guarda un complesso mobile di nubi dopo essere stati sette ore nell’interno di un’officina di macchine utili”.